Ogni volta che inizio a desiderare qualcosa intensamente, la perdo.
Non mi sarei mai stancata dei giochi sull’erba, delle margherite fra i capelli, delle farfalle che catturava per me con le sue mani di biancospino, mani grandi, dove le ali fremevano fragili, quasi immateriali, in attimi che sfioravano la perfezione.
Ma forse qualche pallida fata ebbe invidia di noi.
Di quell’alba ricordo il gelo e il modo spettrale in cui la luce sorse bianca dal buio.
Quando non aprì gli occhi e giacque freddo nel giaciglio vicino, il mio dolore si trasformò in spiriti della tempesta, la prima di quel lungo inverno.
Mai credere alle leggende dei cacciatori, e non perché mentano, ma perché raccontano meno di ciò che è vero.
C’è un luogo nella foresta, in cui i fantasmi di coloro che hai amato ritornano. E io l’ho cercato quel luogo, in un giorno che sembrò durare mille anni. Una volta lì ho urlato il suo nome, con tutto il mio amore, con tutta la mia disperazione.
E poi apparve. Il viso bianco come nebbia e il vento freddo che riempiva i fragili contorni del suo corpo di foglie secche e di grida raccolte lontano. Era lui, ed era lì, ma al tempo stesso era incredibilmente lontano. E quando tesi le braccia verso la sua figura diafana avvertii d’un tratto tutta quella distanza, un’eternità incalcolabile, uno spazio senza confini. Un passo in più non sarebbe servito eppure tentai e strinsi le braccia per abbracciare il niente.
Come una nuvola spazzata via dal vento, quello spettro impalpabile della sua esistenza si era dissolto al caldo tepore del mio corpo.
Non lo avevo ritrovato ma soltanto perso di nuovo.
1 commento:
Eh.
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