venerdì, novembre 23, 2007

Kitchen

Kitchen è il titolo di un libro che mi è sempre piaciuto molto. Neanche a dirlo la protagonista ama la cucina, il luogo più accogliente della casa, dove addirittura dorme, in cerca di conforto, quando perde la sua famiglia. La cucina è un luogo in cui creare, sperimentare, riuscire, migliorare, fallire. Tutte le sue cucine corrispondono a una fase della vita e dalla cucina capisce qualcosa delle persone che le sono vicine. Diversamente da quanto si potrebbe immaginare è un libro colmo di incanto e di mistero, che racconta di una ragazza pragmatica che affronta un mondo inaspettato, in compagnia di personaggi sopra le righe ma che impara a conoscere per quello che sono e non per quello che sembrano.
Niente, forse mi piaceva perchè insegna che ci può essere amore nel modo in cui si taglia una zucchina, rabbia nel pulire un pavimento, magia nel vedere una luce a una finestra e che-forse, tutto quello che cerchiamo è a portata di mano, magari non in una cucina, ma chissà che non sia alla porta accanto.

23 commenti:

dawoR*** ha detto...

io sono un fanatico delle spezie...

:) dawoR***

Lieve ha detto...

Chissà perchè, ma l'avrei detto ;)

Nuvola ha detto...

La mia cucina è la stanza che preferisco: più raccolta, ospitale.. abitabile grazie al tavolo con le sedie e la poltroncina. Ci sto bene anche se non è grande. A me piace proprio così: piccola e striminzita dove quasi intralci l'altra persona che si aggira tra gli stipetti oltre te..

Anonimo ha detto...

Kitchen. Un libro lugubre dove la morte è vista con sonnolenta esaltazione della solitudione giovanile. L'angoscia trova rifugio in una cucina territorio del ricordo di una famiglia perduta. La scorrevolezza e fluidità del racconto credo sia in parte merito del traduttore.

>>"Penso che quando verrà il momento di morire, vorrei che fosse in cucina. Che io mi trovi da sola in un posto freddo, o al caldo insieme a qualcuno, mi piacerebbe poterlo affrontare senza paura. Magari fosse in cucina!"

I temi infausti sono il forte della Yoshimoto. E certamente questa "posta di bilancio" è tipicamente di sapore giapponese. Sicuramente per cultura che, credo, la Yoshimoto rappresenti in modo non felice non sapendo descrivere una realtà che è molto bella e suggestiva.

Pesa un pò lo stesso sospetto, comune a molti commentatori e critici, che vi sia sotto la stessa motivazione ultima che Nanni Moretti ebbe nel suo film "La stanza del figlio".
Fare i soldi con le lacrime altrui.

L'esaltazione del dolore nelle opere cinematografiche o letterarie, ovviamente quado a scrivere siano autori minori come è il caso di Moretti ("chi era costui?") e Yoshimoto, è vista da molti critici, e a ragione veduta, con diffidenza estrema.

Poi il fatto che vendano molti libri o incassino molto al botteghino, quello è tutt'un altro affare. E' la stessa ragione per la quale trasmissioni quali "amici", "carramba che sorpresa" e compagnia cantando facciano breccia nei cuori della gente di non alte pretese od aspettative letterarie.

L'arte e la letteratura, entrambe con le iniziali maiuscole, abitano da un altra parte.
Nei film di François Truffaut o di Kiesloski o negli scritti di Gadda o di Dostoieski, solo per fare un piccolo esempio.

Che poi un libro della Yoshimoto possa evocare emozioni e riflessioni piacevoli va benissimo. Ma non è certamente, un'opera da portare su un'isola deserta.

Anzi, meglio ricordarsi di dimenticarselo.

Dice ha detto...

Yoshimoto rulez

Anonimo ha detto...

Per Nero Bifamiliare: calmati, è solo un libro, basta non leggerlo!!

Dostoieski è un tuo amico?

Anonimo ha detto...

Ci sono luoghi che per essere raccontati non necessitano di parole. Uno di questi spazi è proprio la cucina, odori, colori, sapori, istillano quell'incanto che è in grado di rendere inutilizzabile e inoffensiva la grammatica.... Tanto che i verbi prima di essere utilizzati devono indossare il grembiule... ciao!

Anonimo ha detto...

@lorenzo

>>"calmati, è solo un libro, basta non leggerlo!!"

Frasi come la tua sono molto eloquenti.

Per parlare di un libro bisogna averlo letto prima. Ma credo che a questa deduzione tu non sia arrivato...troppo complessa.

Si, Dostoieski è un mio amico. Abita vicino casa mia. Chissà magari un giorno potresti perfino incontrarlo. Non oso dire leggerlo...sarebbe troppo.

Chissà quanti libri non letti esistono in certi scaffali impolverati.

Anonimo ha detto...

Beh, bravo/a: hai letto il libro di Yoshimoto e non ti è piaciuto, ma nella tua critica sembra che tu nutra rancore verso qualcuno (forse l'autore? Forse la società? Forse l'italiano medio che guarda "Amici" in TV?). Secondo me questa lettura ti ha colpito fin troppo, magari perchè ti ricorda qualcosa di molto personale, però si, hai ragione, almeno prima di parlare lo hai letto. Povero Dostoevskij, si starà rivoltando nella tomba!!!

Anonimo ha detto...

@lorenzo

Nella mia lettera tu puoi leggere qualsiasi cosa vuoi. Rancore, odio, razzismo e quant'altro ti fa più piacere. Inoltre, puoi perfino arrivare a fare il Divino Othelma e indovinare le mie vicende personali. E poi? Cosa puoi vedere nel mio passato? Cosa puoi intuire di me?

Solo questo sai dire?

Ti accorgi da solo che le tue argomentazioni sono da "grande fratello"? Con tutto il rispetto e l'umiltà verso chi, semplicemente e ingenuamente, lo segue. Ma ciò non toglie che sia tv spazzatura.

Solo per il fatto che io abbia espresso una critica negativa su "Kitchen" tu hai risposto con una battuta che esula il tema letterario ed entra nel personale.

Tipico atteggiamento di chi è a corto di argomenti.

Perchè? Cosa ti manca?
Posso esprimere un giudizio su un libro o no?

Lieve ha detto...

Coff coff...è evidente che qui si sta uscendo dal seminato, quindi a meno di non essere accusata di antidemocraticità o di velata censura, tornerei all'argomento originario del post.

Kitchen, un libro che molti hanno letto, molti altri no. Dal momento che Nero Bifamiliare sembra ferrato in materia mi permetto di replicare ad alcune delle sue affermazioni, non con intento polemico ma semplicemente per amor di dibattito.

E' probabile che fra cento anni la Yoshimoto non se la ricordi nessuno eppure questo suo libro in particolare, a differenza di altri che pure ho letto, ha toccato qualche corda del mio spirito e ancora di più lo ha fatto il breve racconto che lo segue nell'edizione italiana: "Moonlight Shadow".
Ora, sono convinta che quella furbacchiona, una volta trovata la formula del successo, abbia deciso di cavalcare l'onda con libri che, anche nella loro diversità, riproducono le medesime atmosfere, ma parlando di testi che appartengono alla sua prima produzione, non mi sentirei di associarli a tutti gli altri.

Il fatto poi che eros e tanatos siano onnipresenti nei suoi romanzi non fa che associarla, come tu stesso hai sottolineato, a tantissima letteratura giapponese moderna e contemporanea. C'è differenza tra una Yoshimoto e un Mishima o un Tanizaki, e capisco il desiderio di criticarla per aver percorso un solco tracciato da altri, ma questo fatto dovrebbe forse suggerirti un comune sentire di questi scrittori che, osservatori del loro tempo e della loro società non possono che farla trasparire nelle loro opere.Tra parentesi, non mi sembra che in Kitchen ci sia questa atmosfera cupa che tu riscontri, perlo meno a me sono rimasti più impressi gli elementi positivi.
Inoltre, è mia opinione che il concetto di morte in Giappone, e nei libri di Banana è evidente,non abbia le stesse caratteristiche che ha nei paesi occidentali. La morte non è una cosa staccata dalla vita, ma ne fa parte e la completa in un tutto inscindibile, la rende immanente nella quotidianità della vita. L'apoteosi del pessimismo? Forse. Ma un buddhista o un taoista non la penserebbero così.

La Yoshimoto poi ha un taglio assai "manga" nel suo modo di scrivere. Certe situazioni paradossali, esagerate e vagamente morbose riproducono essenzialmente questi contesti - contesti con i quali i giapponesi hanno una certa familiarità e che sono altra cosa rispetto a un Carramba che sorpresa, per quanto anch'essi rappresentino un desiderio di evasione e di fuga dall'ordinarietà, in un paese dove però, non dimentichiamolo, anche il fumetto è arte. E ti assicuro che per me c'è un certo gusto "nell''assaporare" questi elementi nella lettura di Kitchen perchè come dire...il Giappone è anche questo.

Quella della Yoshimoto e' una letteratura di consumo, possiamo anche dire usa e getta o "junk bungaku" come dicono loro, ma è anche vero che un libro lo fa anche il lettore.
Ho letto il romanzo e vi ho trovato immagini di una civiltà che per molti versi è davvero delirante, eclatante, contraddittoria e allo stesso tempo fragile e illusoria, ho visto descrivere un mondo effimero come un fiore eppure, proprio come un fiore, bello e colorato. Il suo carattere transitorio è parte della bellezza.

Forse un libro della Yoshimoto non meritava tante parole, ma se a me ha lasciato un bel ricordo non sarebbe stato un tradimento non spiegare le mie e le sue ragioni? ;)
Sono altri i capolavori, è vero ma non volevo parlare di capolavori, solo di un testo che ha scaldato un pochino il mio freddo cuore e mi ha fatto "viaggiare", e adesso sai il perchè.

Non ditelo in giro, ma forse sull'isola deserta, me lo porterei :)

Anonimo ha detto...

@Lieve
Ho letto con attenzione la tua analisi e sebbene sono ampiamente daccordo che un libro come "Kitchen" possa evocare le più belle emozioni possibili e scaldare, come tu dici, il cuore, mi trovo a dissentire su alcuni tuoi passaggi che ritengo non esatti.

Punto 1
Io ho citato "carramba" non per accostarlo al tenore emotivo del libro in questione, ma solo quale corollario di operazioni commerciali che fanno della tv-dolore una buona fonte di incassi così come "La stanza del figlio" di Moretti, a suo tempo, fece buoni incassi ai botteghini. Sollevai il sospetto, peraltro non isolato, che la Yoshimoto abbia potuto cavalcare questa "moda" vista la sua mediocre performance letteraria.

Punto 2
E' davvero azzardato accostare Banana a Mishima e Tanizaki, anche solo per sottolineare il fatto che la Yoshimoto abbia potuto seguire il loro solco.
Sono mondi abbastanza diversi.
Nelle opere di Mishima si percepisce la morte o la sua aura senza che quest'ultima venga mai evocata direttamente. Quasi ogni sua pagina risente di un esistenzialismo, seppur vestito di quel lontano modo e mondo orientale, che non è mai descrizione di disgrazie passate o disatstri familiari. Moravia lo definì "conservatore decadente" non a caso. Egli si dà la morte con il rito del "seppuku". Già basta questo per allontanare da egli il sospetto di una qualsivoglia contaminazione artificiale dei suoi scritti. Lo stesso non può dirsi della Yoshimoto. Per diversi ed evidenti motivi che, credo, non abbiano bisogno, qui, di rappresentazione e che, suppongo, non sfuggiranno alla tua attenta conoscenza.

In definitiva, credo, ma questo è un mio modesto "sentire", credo che vi sia più poesia nel mondo di Amelie Puolain piuttosto che in quello dei personaggi di Banana. Potrà essere considerato come un frontalismo tra occidente e oriente ma credo che il gioco non sia questo. Il gioco è farsi "trovare" dalle emozioni anche più semplici ispirate da piccole cose, apparentemente effimere.
Purchè vere.

Saluti

Mushin ha detto...

Sangue-sangue-sangue. Azz sono arrivato tardi.
Scherzi a parte, non ho letto il libro, e niente di Yoshimoto in generale. Un pregiudizio che non ho superato perchè associo l'autrice ad una persona del passato. Però concordo sulle considerazioni circa la cucina.

Lieve ha detto...

@ Mushin, per quel poco che posso aver capito di te, effettivamente la Yoshimoto non può essere il tuo genere, fa troppo "shojo manga" e tu mi sembri più samuraico come tipo ;)

Anonimo ha detto...

Se non altro ho contribuito a tirar fuori il meglio della vostra critica letteraria (Nero e Lieve).
Comunque non volevo offendere nessuno, scusami se involontariamente l'ho fatto (ma dimmi come e con quali parole).
Il mio intervento ("Calmati, è solo un libro, basta non leggerlo") lascia il tempo che trova, non c'è la richiesta, nè il bisogno di una risposta. I tuoi commenti invece sono stati pieni di allusioni gratutite ad una mia presunta scarsa cultura oltre che ad una scarsa dedizione alla lettura e questa, se permetti, è la prima provocazione personale. Hai tirato in ballo il Divino Othelma e il grande fratello per ridicolizzare i miei interventi, farai altri paragoni che ti facciano sentire più intelligente degli altri? Infine ti dico che sono il primo ad aver apprezzato la tua critica al libro, è solo il tono che mi stupisce, tutto qua.
Ciao, Lorenzo

Anonimo ha detto...

Cortese Lorenzo, io ho semplicemente RISPOSTO con le stesse lame di coltello a quello che tu hai detto per primo.
Ti rinfresco la memoria.
>>"Per Nero Bifamiliare: calmati, è solo un libro, basta non leggerlo!!
Dostoieski è un tuo amico?"

Se tu davvero pensi che io dopo tali parole possa rispondere semplicemente con toni molto soft, ti sbagli. Al mio paese non è certo una battuta felice. Quella la accetto solo da un amico di vecchia data, non da chi non conosco. Poi chissà potremmo anche andare daccordo, non escludo il possibile. Ma non anticipiamo i tempi. Ho citato il Divino Othelma solo DOPO che tu hai messo il seguente post:

>>"[...]sembra che tu nutra rancore verso qualcuno (forse l'autore? Forse la società? Forse l'italiano medio che guarda "Amici" in TV?). Secondo me questa lettura ti ha colpito fin troppo, magari perchè ti ricorda qualcosa di molto personale, però si, hai ragione, almeno prima di parlare lo hai letto. Povero Dostoevskij, si starà rivoltando nella tomba!!!"

Ma di cosa parli Lorenzo?
Io avrei dovuto NON rispondere? O farlo con toni di riverente dialogo?
Credo di stare dalla parte della "legge del taglione". Ovviamente quella del pensiero scritto; con toni sempre molto civili, come credo tu abbia potuto constatare.

In ultima istanza, mi preme dire, ma poi non tanto, che preferisco fare discorsi che mi facciano sentire un burattinaio di parole e un inseguitore di quel Sapere che, ahimè, mai raggiungerò. Al contrario di quelli che l'hanno già raggiunto...tanto da saper vedere chi si atteggia a persona intelligente e chi in effetti lo è.
Io non possiedo tale facoltà. Me ne complimento con te che invece sei padrone di tutto ciò.

Consentimi simile risposta.
Senza polemica.

Anonimo ha detto...

Cosa ne pensi di "Chocolat"? Anche in quel film c'è da imparare...Ciao, sono Celeste.

Lieve ha detto...

Celeste...Celeste...mi dovresti dire il nome del tuo blog, altrimenti è dura ricordare (._.)
Chocolat è un film incantevole. Mi è piaciuta la fotografia e il tono da fiaba senza contare il modo in cui l'odore della cioccolata sembra aleggiare nell'aria ;)
E poi, non so, ma mi viene sempre da pensare a questo film come la versione "Culinaria" del meraviglioso mondo di Amelie (anche se non so quale dei due è stato girato prima). Quando li guardo ho la sensazione di stare vedendo qualcosa di bello :)

guccia ha detto...

Verissimo, e poi, a causa o per mertito della divisione dei sessi, la cucina è il luogo dove le donne trasformano la natura in cultura...

Anonimo ha detto...

In "Chocolat" intravedo un certo senso della vita, quel modo particolare di condurla dei protagonisti che passa dalla bigotteria alla libertà senza regole...molto bello...Celeste.

Lieve ha detto...

Non direi che si tratti di una libertà senza regole...piuttosto una libertà basata su regole universali di amore e di rispetto ;)
Però hai ragione sul fatto che i protagonisti arrivano a vivere una nuova esistenza, sicuramente migliore ^_^

Anonimo ha detto...

...Intendevo, per regole, quelle imposte dalla bigotteria del piccolo paese ammaestrato dal sindaco...Celeste.

Lieve ha detto...

Ah...Ok...Mi sa che dicevamo la stessa cosa ;)